CAPITOLO I - SENZA DAX

La U.S.S. Defiant aveva giusto fatto in tempo ad attraccare a DS9 che il Tenente Comandante Worf si era precipitato verso l’Infermeria, indifferente di chi travolgesse nel proprio cammino tra coloro che si erano affollati per accogliere i sopravvissuti allo scontro del sistema di Chin’toka.
La Defiant aveva guidato la flottiglia composta dai vascelli della Flotta Stellare, dell’Impero Stellare Romulano e dell’Impero Klingon contro le forze alleate del Dominio, riuscendo per la prima volta da quando gli scontri erano scoppiati a uscirne ampiamente vincitori.
Ovviamente escludendo il fatto che, in pieno scontro, il Capitano Benjamin Sisko, Emissario dei Bajoriani e Ufficiale Comandante di DS9 e della Defiant, aveva avuto un’inaspettata (quanto violenta) visione da parte dei Profeti del Tempio Celeste, che lo aveva messo fuori gioco per un tempo sufficientemente lungo da costringere il Maggiore Kira, suo Primo Ufficiale, a prendere le redini della situazione.

Poco dopo la vittoria ottenuta sulle forze avversarie, la Defiant era stata raggiunta da un messaggio di Priorità Uno proveniente dalla stazione spaziale che ingiungeva loro di ritornare il più in fretta possibile: oltre al brutto colpo riguardante il collasso del Tempio Celeste, il tunnel naturale presso il quale orbitava Deep Space 9, Gul Dukat, posseduto da un Pah-wraith, era riuscito a irrompere nel locali ove era custodito il Cristallo della Contemplazione, violandolo, causando proprio il collasso del Tempio Celeste che così duramente aveva colpito l’Emissario dei Profeti.

La folla si chiuse attorno alle figure, a loro volta emergenti dal portellone d’attracco, del Capitano Sisko, del Maggiore Kira e del Capo O’Brien: una bambina bajoriana, di non più di una decina di anni e con un vestitino di varie tonalità di verde, si avvicinò all’Emissario e lo prese per mano: «Emissario, mamma dice che i cristalli sono diventati scuri, che i Profeti ci hanno abbandonato.»
L’uomo le si inginocchiò di fronte, in maniera tale da poter vedere la bambina negli occhi, e le strinse affettuosamente le spalle tra le proprie mani, ma prima che potesse dire una sola parola, la bambina continuò quasi lacrimante: «Deve ritrovare i Profeti. Emissario, lei deve trovarli. Dica loro di tornare, la prego!»

Sisko allontanò per un attimo il pensiero di ciò che lo attendeva in Infermeria e cercò di concentrarsi su quanto la piccola Bajoriana gli aveva appena chiesto. Si guardò attorno, rendendosi conto che la bambina non era l’unica Bajoriana della sua età ad essersi avvicinata a lui; qualche passo più indietro anche i genitori dei bambini lo guardavano con occhi persi. Alcuni membri dell’equipaggio bajoriano di Deep Space 9 avevano interrotto di adempiere alla loro mansioni pur di incontrare l’Emissario.
«Farò di tutto…» fu l’unica cosa che Sisko riuscì a dire.

La folla continuava a mormorare preoccupata, mentre il Capitano Sisko, Kira e O’Brien ripresero la loro camminata, sempre più veloci, verso l’Infermeria. Ad attenderli in astanteria trovarono Odo e Quark, entrambi con le braccia in conserta e stranamente in silenzio, che camminavano avanti e indietro nervosamente e non avevano per niente voglia di battibeccare come erano soliti fare. Non appena furono entrati, si aprì la porta di una delle sale operatorie e ne uscì il Dottor Bashir, ancora avvolto nella tunica rossa che indossava per gli interventi più delicati, seguito da un’infermiera.
La sua espressione, tesa e stravolta, sembrava presagire il peggio. L’Ufficiale Medico Capo di Deep Space 9, notati i colleghi (ai quali si era aggiunto anche il Guardiamarina Nog), lanciò uno sguardo veloce al PADD che aveva tra le mani, prima di consegnarlo all’infermiera, dopodiché si rivolse loro esordendo: «Sono riuscito a salvare il simbionte Dax…»

Attorno a lui, gli altri Ufficiali si irrigidirono: Kira e O’Brien si scambiarono uno sguardo attonito, mentre Quark, che stava per chiedere a cosa si riferisse il medico con quelle parole, fu stroncato da un gesto asciutto da parte di Odo mentre Sisko, da parte sua, era teso come una corda di violino.

«Ma,» aggiunse Bashir facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti (e meritandosi anche qualche occhiataccia), «sono stato in grado di stabilizzare anche Jadzia. Sono entrambi in via di guarigione, anche se ci vorrà ancora un po’. Siamo stati in grado di salvare entrambi! Ora Worf è con lei.» La tensione che aveva permeato il gruppo fino a quel momento evaporò in un battibaleno, con Kira che addirittura abbracciò Quark e Odo che abbozzò una sorta di sorriso, mentre O’Brien dava un’energica pacca sulla spalla a Bashir e Sisko inspirò profondamente un paio di volte per riprendersi da un terribile colpo che, ringraziando i Profeti, non era arrivato. Jadzia era salva, nonostante le importanti ferite sostenute per mano di Dukat. Ma la promessa di vendicarsi sul Cardassiano era ancora fresca nella sua mente: se se lo fosse ritrovato di fronte, non avrebbe di certo esitato.

*

Dopo qualche giorno passato in Infermeria sotto osservazione diretta da parte del Dottor Bashir, al Tenente Comandante Jadzia Dax, Ufficiale Scientifico Capo di Deep Space 9, venne dato il permesso di passare il resto della propria convalescenza negli alloggi che condivideva con il marito, il Tenente Comandante Worf.

Nel proprio rapporto, il Dottor Bashir aveva sottolineato come fosse stato costretto a separare brevemente il simbionte Dax da Jadzia, altrimenti non sarebbe stato in grado di salvare le due vite in gioco: fortunatamente, tutta l’operazione era stata ben dentro i tempi in cui ospite e simbionte potevano sopravvivere l’uno senza l’altro, permettendo quindi all’Ufficiale Medico Capo della base di completare con successo quello che sembrava un miracolo.

Jadzia, da parte sua, si stava riprendendo piuttosto rapidamente dal trauma, mostrandosi sempre piuttosto irrequieta e scalpitante per poter ritornare in servizio attivo, dal quale era stata sospesa dal Capitano Sisko fino a nuovo ordine, per permetterle di processare il trauma subìto. Dietro consiglio del Dottor Bashir, comunque, Sisko aveva permesso al proprio Ufficiale Scientifico di impegnarsi in alcune attività non particolarmente onerose, per permetterle di impegnare in qualche modo il proprio tempo e impedirle di comparire senza preavviso nel Centro Operativo della stazione.

Ma la donna era irrequieta anche e principalmente per un altro motivo, in realtà: nel seppur breve lasso di tempo in cui era stata forzatamente separata dal proprio simbionte, per permettere al Dottor Bashir di salvare entrambi, la scienziata si era trovata a dover far i conti con alcuni aspetti interessanti riguardanti la propria sfera sentimentale, come ebbe modo di scoprire a proprie spese il marito. Una sera, infatti, rientrato dal servizio, Worf aveva deciso di portarle uno dei suoi piatti klingon preferiti, sebbene il suo arrivo con la leccornia non fosse stato particolarmente apprezzato dalla moglie che, invece, aveva preferito qualcosa di molto più tradizionale.

La reazione di Jadzia, inevitabilmente, aveva fatto aumentare la preoccupazione di Worf per la moglie, considerando anche che era da quando la donna aveva lasciato l’Infermeria si era dimostrata piuttosto scostante nei suoi confronti. Durante la cena di quella sera, quindi, si decise finalmente ad affrontare il discorso con lei, ritenendo che un confronto avrebbe sicuramente giovato a entrambi, permettendo loro di risolvere qualsiasi problema turbasse la Trill. Non aveva alcuna idea di quale bomba sarebbe però esplosa ai suoi danni.

«Allora, come ti senti oggi?» Worf le chiese a fine cena, come ormai faceva da quando Jadzia era stata dimessa dall’Infermeria. La Trill gli lanciò uno sguardo a metà tra lo scocciato e l’insofferente, apparentemente senza motivo, prima di rispondergli in tono di leggero rimprovero: «Me lo chiedi tutti i giorni, Worf. Ci vorrà del tempo affinché io mi possa riprendere del tutto, lo sai benissimo…»

Lo sguardo che le lanciò il Klingon poteva voler dire molte cose, mentre osservava: «Mi preoccupo per la tua salute, e mi chiedo se tu non abbia bisogno di maggiori attenzioni mediche. La tua ripresa fisica sembra ottimale, e non vedo l’ora di tornare ad allenarci in sala ologrammi, ma non posso ignorare che tu sembri ogni giorno più… distante.»
«Come ho detto… ho solo bisogno più di tempo e di un po’ di spazio,» rispose leggermente seccata Jadzia.

«Tempo per cosa, esattamente?» Worf non poté fare a meno di chiederle, non capendo a cosa lei si potesse riferire con quella sua richiesta particolare. Tempo? si ritrovò nuovamente a domandare, questa volta a sé stesso, mentre la donna di fronte a lui sembrava innervosirsi sempre di più di fronte a lui, sempre più a disagio per un motivo non così ben specificato. Dopo qualche istante di silenzio, comunque, sembrò che Jadzia fosse finalmente giunta a una conclusione, perché sembrò assumere un piglio leggermente più deciso e lo sguardo nei suoi occhi, quando incrociò quelli del marito, fece tremare internamente il Klingon, il quale si ritrovò a presagire qualcosa di non particolarmente buono dalla situazione.

«Quando sono stata attaccata da Dukat, ho perso il contatto con il mio simbionte e, come sicuramente avrai letto dal rapporto medico, Julian è stato costretto a mantenerci sconnessi per un certo lasso di tempo prima di riunirci, altrimenti non sarebbe stato in grado di salvare entrambi…»
Worf, che stava domandandosi dove volesse andare a parare, annuì distrattamente, facendole cenno di procedere: «Durante le poche ore in cui Julian ha corso contro il tempo per riuscire a salvarci entrambi, io ero… cosciente.»

Il Klingon le lanciò uno sguardo che, in un qualsiasi altro umanoide della stazione, poteva passare per altamente sorpreso, portandolo a chiedere: «Cosciente? In che senso… cosciente?»
«Jadzia, senza Dax, era presente…» cercò di spiegare Dax, lottando per cercare le parole giuste per spiegare un concetto che poteva sembrare alieno a chiunque non fosse un Trill o non avesse studiato approfonditamente la loro fisiologia e le tecniche legate all’unione tra simbionti e ospiti.
«E ha… io ho… provato gli stessi sentimenti che pensavo di provare per te… per un’altra persona.»

Worf, sentendo quella confessione da parte della moglie, raggelò: tutto si sarebbe aspettato, tranne quello. Amava profondamente Jadzia, e si era sentito onorato quando la donna aveva accettato di sposarlo, qualche mese prima. Così come si era sentito onorato quando, poche settimane prima dell’incidente, avevano iniziato a fare progetti per avere un figlio: il Dottor Bashir, dopo tutta una serie di test, era stato positivo in merito alla possibilità che i due riuscissero a concepire una nuova vita, nonostante la diversa fisiologia delle rispettive specie. Quanto Jadzia gli aveva appena detto, era un fulmine a ciel sereno. Letteralmente.
Da parte sua, Dax attese, tesa, la reazione del Klingon: conoscendolo per come lo conosceva, sapeva che doveva dargli il tempo sufficiente per riuscire ad assorbire il colpo appena subito prima di pensare anche solo a consolarlo. Non sarebbe stato corretto nei suoi confronti e nei confronti del suo onore.

Finalmente, l’imponente Klingon le domandò, tra i denti, non volendo davvero sapere la risposta, ma sentendosi comunque costretto a chiedere: «Chi sarebbe questa… persona… per la quale hai scoperto di provare questo tipo di sentimenti?»

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