NUOVI ORIZZONTI (G)


ZEFRAM COCHRANE SPACE FLIGHT CENTER - TERRA

«Eva, finalmente ti ho trovata! Ti ho cercata dappertutto!» Il Guardiamarina Thissen Ch'Vatross, un giovane Chaan Andoriano che si era diplomato l’anno precedente a quello della donna all'Accademia della Flotta Stellare, raggiunse Ferrari sul balcone che dava sulla città di San Francisco, dove si trovava lo Zefram Cochrane Space Flight Center.

Un qualsiasi ufficiale fresco di Accademia con un curriculum come quello della donna sarebbe stato immediatamente spedito a servire su un vascello, magari di prima classe come la compianta Enterprise-D, ma Eva Ferrari aveva invece preferito dedicare il proprio inizio di carriera al test piloting. Non che allo Zefram Cochrane si fossero affrettati a rifiutarla: era probabilmente uno dei migliori piloti usciti dall’Accademia in quegli anni e il fatto di avere il suo talento a disposizione avrebbe portato a risultati ben al di sopra della media.
Ma, nonostante ciò, la gente non poteva fare a meno di parlare.
I due erano diventati amici quasi da subito: nonostante fosse un’umana, infatti, Ferrari rientrava nel piuttosto ristretto numero di individui che preferiva di gran lunga i rigidi climi andoriani a quelli, nettamente più miti, del proprio pianeta natale. Era, inoltre, molto interessata alla cultura andoriana e i due passavano ore a dibattere sui vari aspetti che la caratterizzavano, anche in relazione alle enormi differenze che era ovviamente possibile riscontrare rispetto a quella umana.

«Ho dovuto farti localizzare dai sistemi del Centro,» aggiunse a chiosa, quasi ansimando, affiancandosi a Ferrari e appoggiandosi al parapetto, mettendosi alla sua destra, aggiungendo: «Perché hai messo un blocco al tuo comunicatore, Eva? Cosa è successo?»
Solo quando si prese il tempo di osservare bene la donna, Thiss si accorse che c’era qualcosa di diverso in lei, non da ultimo la divisa, non quella normalmente impiegata all’interno del Centro dai piloti, per certi versi simile a quella impiegata in quel periodo a bordo delle navi, ma differente per qualche dettaglio.

Ferrari, conscia dello sguardo interlocutorio del collega e amico su di sé, decise di mettersi quasi sull'attenti, girandosi verso di lui e permettendogli di notare tutte le differenze tra le divise che entrambi indossavano. Se la divisa dell’andoriano prevedeva una banda nera che comprendeva le spalle e il colletto, arrivando sulla manica a forma di punta, per lasciare poi spazio al colore bianco che caratterizzava interamente il resto della tuta, quella di Ferrari si componeva di due pezzi, dove il colore prevalente era il nero. Solamente la parte superiore dell’uniforme prevedeva, al centro e contornata da tessuto nero, il colore della sezione di appartenenza, il rosso in questo caso, all’interno del quale, poco sopra il cuore, era collocato il comunicatore. Sul colletto, risplendenti sul campo nero e a destra rispetto al delta tipico della Flotta Stellare, brillavano dei gradi, che indicavano l’ufficiale come un Tenente JG.

«Avevo bisogno di rimanere per un po’ da sola con i miei pensieri, Thiss,» gli rispose Ferrari, con un mezzo sorriso di scuse che stonava parecchio su un volto costantemente caratterizzato da un’espressione rigida e severa. «Sono stata assegnata alla U.S.S. Europa, una classe Sovereign,» continuò, indicando la propria divisa con un gesto vago delle mani, «dietro esplicita richiesta del Capitano incaricato di prenderne il comando una volta conclusi gli ultimi ritocchi.»
L’andoriano si illuminò, le antenne che si muovevano a indicare la sua felicità nel ricevere la notizia: «Ma è una bellissima opportunità, Eva!» Non era mai stato geloso delle abilità mostrate dalla donna, ma la riteneva sprecata come semplice collaudatrice, nonostante lei avesse sempre sostenuto il contrario. Se c’era qualcuno che si meritava un incarico in prima linea, esplorare strani nuovi mondi - come recitava il motto della Federazione e come si faceva fin dai tempi di Archer - ed entrare in contatto con nuove civiltà, questa era lei.

In un gesto tipicamente umano, Thiss allungò le mani per afferrare le spalle di Ferrari, scuotendola lievemente: «Eva, lo so che la tua idea sarebbe stata quella di continuare a lavorare qua con noi al Flight Center. Ma le tue qualità, le tue competenze… qua sono un po’ sprecate. Accetta il fatto di essere la più adatta a osservare le stelle più da vicino di quanto tante altre persone si meritino.»
Le sorrise: ammetteva, dentro di sé, che sarebbe stato doloroso vederla partire, senza sapere se e quando si sarebbero mai rivisti. Ma non lo avrebbe mai ammesso di fronte a lei. La conosceva, di conseguenza sapeva molto bene che ammettere un qualsiasi attaccamento affettivo così nei suoi confronti l’avrebbe messa in difficoltà, sotto molti punti di vista. E avrebbe sicuramente rovinato il legame che si era instaurato tra loro.

La sua voce lo riscosse: «Ti ringrazio, Thiss. Ma sai come la penso…» L’andoriano non le permise di concludere quanto stava per dire, le antenne che si muovevano all’impazzata sulla sommità della sua testa, quasi a voler esprimere in maniera il più visibile possibile la sua ilarità: «… anche un vascello come l’Enterprise ha bisogno di qualcuno che sperimenti, altrimenti non potrà mai volare.»
Adesso stavano entrambi chiaramente sogghignando: «Lo ripeti spesso. Ma il compito di sperimentare tocca a noi, ora.» Prendendola per un braccio, la spinse a rientrare, lasciandosi la balconata alle spalle: «A te, invece, toccherà pilotare uno dei vascelli più all’avanguardia della Flotta Stellare. Non sai quanto io ti invidi! Pensa, dicono che stiano concludendo gli ultimi ritocchi su di un’altra classe Sovereign, a cui verrà affidato il nome di Enterprise-E!»

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Quella sera, prima che Ferrari si imbarcasse sul runabout che l’avrebbe portata fino ai cantieri di Utopia Planitia, venne organizzata una piccola festa di addio in suo onore. Gli altri membri della Squadra Beta, che oltre a lei e a Thiss contavano una Betazoide - il Tenente Jadet Brid - e un giovane cadetto terrestre - Nicolas Rouest -, si erano impegnati, una volta opportunamente informati, a realizzarle un qualcosa di carino.

Avevano fatto la stessa cosa, non poco tempo prima, in onore di un altro membro della squadra, il cui posto era stato poi preso dal Cadetto Rouest: al Tenente Stadi, infatti, era stato proposto di servire a bordo della U.S.S. Voyager, vascello di classe Intrepid alla sua prima missione. Prima missione che, se si doveva prestar fede ai rapporti e alle informazioni che erano trapelate, non era andata propriamente a buon fine, considerando che la Voyager era andata dispersa in azione e non si sapeva cosa ne fosse accaduto: un attimo prima c’era, l’istante successivo non più. Fino a quel momento, niente di ulteriore si sapeva in merito al destino della nave scientifica e del suo equipaggio. Solo qualche anno più tardi, con il maestoso ritorno del vascello federale tramite un condotto transcurvatura Borg, avrebbero avuto conferma certa di come Stadi avesse perso la propria vita.

Quando, infine, Eva Ferrari si imbarcò a bordo del runabout Montenegro, poche ore più tardi, in direzione Marte, si lasciò alle spalle un terzetto di individui che poteva, a tutto diritto, considerare come i suoi amici. Non avrebbe mai creduto, due anni prima, di riuscire a stringere legami così forti con qualcuno, al punto di provare rammarico più nel lasciarsi indietro altri individui rispetto al proprio lavoro.
Era anche vero che il progetto per cui aveva insistito a tutti i costi per essere presa allo Zefram Cochrane si era ormai concluso, si sarebbe solo persa i passaggi burocratici finali e la pubblicazione delle considerazioni finali da parte del comitato scientifico, con interventi degli stessi membri del team. Non c’erano fattivamente più motivi, presunti o reali, che le impedissero di prendere il volo. Cosa che fece.


U.S.S. EUROPA (NCC-1648-E) - UTOPIA PLANITIA FLEET YARDS, MARTE

Il Capitano T’Vok si trovava nel proprio ufficio, a bordo dell’Europa, a leggere gli ultimi rapporti che aveva trovato sulla sua scrivania, provenienti dal team di ingegneri che si stava occupando di dare gli ultimi ritocchi al suo nuovo comando. Un istante più tardi, dall’interfono, provenne la voce del Comandante R’Mau, suo Primo Ufficiale: «Ci informano che il runabout Montenegro ha lasciato l’atmosfera terrestre e si dirige verso i cantieri di Utopia Planitia, Capitano. Tempo previsto alla destinazione: 5 minuti.»
«Molto bene, Comandante. Quando arriveranno a bordo dell’Europa, dica loro di presentarsi nel mio ufficio,» rispose T’Vok, prima di interrompere la comunicazione.

L’Europa non era il primo comando della vulcaniana, la quale vantava una lunga carriera nella Flotta Stellare, almeno sin dai tempi dell'Enterprise-B, agli ordini di John Harriman, vascello sul quale la donna aveva prestato servizio una volta uscita dall’Accademia, iniziando all’interno della Sezione Operazioni come Ufficiale addetto alle Comunicazioni.
La sua ascesa nei ranghi della Flotta era stata inesorabile e costante, arrivando a ottenere il suo primo comando alla soglia del secolo di vita, all’inizio degli anni ‘20 del XXIV secolo. Come accaduto anche in passato, la parte più ardua consisteva nel riuscire a trovare il giusto personale per creare la corretta alchimia tra gli ufficiali dello staff di comando, i capi dipartimento, gli ufficiali ‘dei ponti inferiori’, i sottufficiali e il personale arruolatosi nelle fila della Flotta senza aver conseguito corsi specifici all’Accademia, ma piuttosto in Scuole specializzate.

Il giusto equilibrio era arduo da trovare, questo T’Vok lo sapeva molto bene, nonostante avesse cercato sempre di scegliere con oculatezza e logica. Ma, come tutti gli individui, anche i vulcaniani erano soggetti a errori di valutazione e giudizio, motivo per cui aveva letto personalmente la maggior parte dei profili proposti dal suo primo ufficiale, almeno per le posizioni più importanti.
Quella sera, con il runabout Montenegro, sarebbero finalmente approdati a bordo della classe Sovereign alcuni degli elementi chiave di quello che sarebbe stato il suo equipaggio: il Tenente Comandante Françoise Cartier, scelta per ricoprire l’incarico di Capo Ingegnere; la Dottoressa Katherine Pulaski, Ufficiale Medico Capo; il Tenente JG Eva Ferrari, nuovo timoniere della nave.

Mancavano all’appello ancora tre ufficiali, di cui due appartenenti allo staff di comando, che sarebbero stati recuperati in un secondo momento: l’Europa, infatti, avrebbe dovuto incontrarsi con la U.S.S. Archer (NCC-44278), una classe Excelsior, per far salire a bordo il Tenente Comandante Leeda Sevek, il Tenente T’Pring e il Tenente Comandante Mearo Igrain (rispettivamente, il secondo ufficiale, l’ufficiale scientifico e il Consigliere di bordo).

Il suono del campanello non sembrò disturbare la donna, la quale si limitò semplicemente a rispondere «Avanti!», senza alzare lo sguardo dal datapad che teneva in mano, intenta a studiare gli ultimi dettagli. Nonostante, data la lunga permanenza tra esseri di altre specie, fosse abituata agli odori che stuzzicavano il suo delicato naso di vulcaniana, una parte della sua mente registrò i nuovi entrati all’interno del proprio ufficio come tre esseri umani.

Qualche istante più tardi, finalmente, mise da parte il datapad che aveva studiato fino a quel momento e alzò lo sguardo sulle tre donne che si erano raggruppate di fronte alla sua scrivania, completamente diverse l’una dall’altra per età e per portamento.
La Dottoressa Katherine Pulaski, la più anziana del terzetto, indossava la divisa tipica della sezione medico-scientifica, tre gradi sul colletto a indicare il rango di Comandante, nonostante non fosse riconosciuta come ufficiale di plancia. Dal carattere brusco e spigoloso, era uno degli ufficiali medici più esperti che la Flotta potesse offrire: se un Vulcaniano avesse potuto provare emozioni, T’Vok sarebbe rimasta sorpresa dalla facilità con cui era riuscita a convincere il medico a unirsi al proprio equipaggio.
Il Tenente Comandante Cartier, d’altro canto, dava l’impressione di essere una persona molto più alla mano e agevole, con cui avere a che fare, nonostante fosse descritta come una poco incline ad accettare anche la benché minima sbavatura, all’interno del proprio reame. Tipico di tutti gli ingegneri.
Il Tenente Ferrari, infine, era la più giovane del terzetto. Donna minuta, di media altezza, con capelli corti e castani, aveva assunto una istanza rigida, sull’attenti, braccia piegate dietro la schiena. Neanche a dirlo, era tra i migliori piloti che la Flotta poteva vantare. Confidando nel caso e nella fortuna, si poteva sostenere come l’Europa fosse fortunata nell’aver guadagnato tanta abilità per navigare nello spazio profondo, nonostante la donna potesse sembrare a prima vista una incognita, considerando che non aveva mai servito prima al fronte.

«Lunga vita e prosperità. Benvenute a bordo dell’Europa,» le accolse asciutta e breve T’Vok, alzandosi in piedi e facendo il tipico saluto vulcaniano con una mano: palmo rivolto verso le interlocutrici, le dita distese a formare una V, con uno spazio tra indice e anulare, e il pollice separato dal resto della mano.
«Pace e prosperità,» fu la risposta più o meno uniforme del terzetto, che imitò il gesto della donna, prima di attendere che aggiungesse altro: come tutti i vulcaniani, e questo era uno standard, anche T’Vok preferiva arrivare dritto al punto, senza troppi giri di parole; inutile, quindi, sprecare più fiato di quanto non fosse necessario, evitando chiacchiere inutili che non sarebbero state particolarmente apprezzate.

Come previsto, quando il Capitano aprì nuovamente bocca, fu per dispensare ordini: «Dottoressa, Comandante, ritengo sia logico ritenere che in Infermeria e in Ingegneria stiano attendendo il vostro arrivo. Il Comandante R’Mau ha confermato la vostra presa di servizio a bordo dell’Europa nel momento in cui avete messo piede a bordo della nave.»
Senza fare un fiato, le due donne si apprestarono a uscire dall’ufficio, non prima, però, che la Pulaski appoggiasse brevemente una mano sulla spalla di Ferrari, con fare rassicurante. Nel seppur breve tragitto a bordo del runabout, il medico aveva preso simpatia per il giovane Tenente, nonostante non lo avrebbe mai ammesso esplicitamente, a sé stessa o ad altri. Non era una persona che amava particolarmente mostrarsi troppo morbida, agli altri, e questo le avrebbe portato infinite discussioni proprio con la stessa Ferrari, sempre pronta a una battuta arguta o a un acido commento… insomma, tale e quale a lei. Ma le due avrebbero dimostrato, servendo assieme, di formare una squadra dinamica e ben assortita, nonostante tutto.

«Per quanto riguarda lei, Tenente,» continuò T’Vok una volta che la porta dell’ufficio si era chiusa alle spalle della Pulaski, «il suo curriculum avrebbe dovuto farle ottenere un incarico su un vascello molto tempo fa. Il fatto che abbia deciso di fare altrimenti…»
«È tutto ampiamente documentato, Capitano,» la interruppe Ferrari, molto rigidamente, non disponibile a perdere terreno sulla questione. «Lo è,» annuì T’Vok: «Ha intenzione di dirmi qualcosa di più?» Se possibile, Ferrari si irrigidì ancora di più e la sua voce raggiunse un nuovo livello di freddezza: «È un ordine, Capitano?»
T’Vok scosse impercettibilmente la testa, rispondendo: «No, Tenente, non lo è.»
«Allora, Capitano, preferirei prendere servizio, se per lei andasse bene comunque,» chiese Ferrari. A un cenno del Capitano, seguito da un «Vada pure, Tenente,» la donna lasciò l’ufficio e, ritrovatasi sul ponte di comando dell’Europa (sul quale l’ufficio si affacciava) si diresse verso la sua postazione, collocata immediatamente di fronte allo schermo, mantenendosi sulla destra rispetto alla console riservata all’ufficiale operativo, al momento occupata da una giovane Guardiamarina bajoriana.


ZEFRAM COCHRANE SPACE FLIGHT CENTER - TERRA

Il Comandante Jakto Has, l’ufficiale a cui spettava il compito di coordinare lo Zefram Cochrane Center,  era seduto nel proprio ufficio, impegnato ad analizzare il manifesto aggiornato del personale sotto la sua direzione, pronto a inoltrare una nuova richiesta di personale. Con l’assegnazione di Eva Ferrari all’Europa, infatti, il bajoriano si era trovato costretto a richiedere, per la seconda volta in relativamente poco tempo, al Comando della Flotta Stellare di assegnare al Flight Center un altro rimpiazzo.

Sbuffando - davvero non immaginava di dover perdere Stadi e Ferrari a così stretto giro di boa - inviò il modulo al dipartimento operativo della Flotta, sperando che la sua richiesta non venisse messa in coda a questioni più urgenti o che gli venisse affidato un altro Cadetto. Niente di male nel far fare praticantato ai giovani frequentanti l’Accademia, ma non tutti brillavano per abilità o competenze o, più semplicemente, non erano portati a fare il tipo di lavoro richiesto all’istituto.

Era stato lui stesso ad approvare la richiesta di trasferimento avanzata dal Capitano T’Vok per Ferrari: ora che la Divisione Giudiziaria della Flotta Stellare aveva finalmente concluso il processo ai danni di Theo Madalore, la donna non aveva più vincoli di alcun tipo che la vedessero costretta a rimandare a tempo indeterminato la propria carriera.
Che, poi, era il vero motivo per cui Ferrari era finita a prestare servizio presso il Flight Center. Vero, c’era sempre quel progetto per il quale la donna si era sentita apparentemente in dovere di concludere a tutti i costi, ma sapeva riconoscere una storia di copertura, quando ce n’era una. E questo nonostante il progetto avesse comunque un valore tale per cui fosse fondamentale portarlo a termine nei tempi previsti.

Dal canto suo, il bajoriano non poteva che ritenersi soddisfatto nel vedere la giustizia fare il suo corso, nonostante i molteplici tentativi di insabbiare la situazione da parte dell’ormai ritirato Ammiraglio Madalore, padre dell’incriminato. Il suo senso di giustizia lo portava a non apprezzare coloro che si nascondevano dietro il nome della propria famiglia, magari rispettata all’interno delle gerarchie della Flotta Stellare da generazioni, contro chi entrava in sordina, desideroso di farsi un nome senza necessariamente essere messo in ombra da eventuali antenati di prestigio.

L’occhio gli cadde nuovamente sul manifesto aggiornato del personale, che aveva sostituito, sul monitor di fronte a lui, il modulo inviato al Comando della Flotta Stellare. Quando Ferrari era stata chiamata a rapporto nel suo ufficio, quel mattino, non sapeva ancora in che modo quel colloquio le avrebbe cambiato radicalmente l’immediato futuro.

«Voleva vedermi, Comandante?» Ferrari, come al solito, era andata dritta al cuore delle cose. Non era una persona che amava particolarmente girare attorno alla faccenda: se c’era qualcosa di cui parlare, meglio farlo subito, togliendosi il dente.
«Si sieda, per favore,» l’aveva invitata Jakto, il quale aveva ripreso a parlare una volta che la donna si era accomodata di fronte a lui: «Poco più di un’ora fa ho avuto modo di parlare con il Capitano T’Vok, nuovo ufficiale comandante dell’Europa. Si tratta, come sicuramente lei ben saprà, di uno dei nuovi vascelli varati in seguito all’approvazione della nuova classe di navi recentemente realizzata, la Sovereign: si tratta di un Assult Cruiser, ed è una delle tipologie di vascelli più avanzate a nostra disposizione.» La donna stava annuendo, mentre lui parlava: ne era a conoscenza esattamente quanto lui in quanto, in quegli anni, lei per prima aveva fatto alcuni test su simulatori e sui primi prototipi, rigorosamente in sala ologrammi, come previsto dal regolamento.

Era stato uno dei fiori all’occhiello della Squadra Beta, poter offrire le proprie competenze in quel mastodontico progetto. La classe Sovereign sarebbe stata per lungo tempo all’avanguardia, per quanto riguardava le navi della Flotta, nonostante venissero continuamente elaborati nuovi prototipi e nuove classi di vascelli - bastava vedere la classe Defiant, di cui il prototipo, dotato di dispositivo di occultamento, era stato assegnato a Deep Space 9 e al Sistema Bajoriano; la classe Intrepid, di cui una iterazione, la U.S.S. Voyager (NCC-74656), era svanita nelle Badlands, senza apparente motivo, all’inseguimento di una nave Maquis.

Il Comandante aveva proseguito: «Mi è stato chiesto formalmente - e qua le aveva indicato il modulo in questione - di farla trasferire a bordo dell’Europa. La posizione che andrà a ricoprire sarà quella di timoniere del turno Alpha, esercitando anche l’incarico di capo dipartimento; avrà il rango di Tenente JG.»
«Comandante, lei sembra dare per scontato che io accetti il trasferimento,» gli aveva fatto notare Ferrari, tutto sommato anche a ragione. Jakto aveva appoggiato gli avambracci sulla scrivania, unendo le mani di fronte a sé, e aveva guardato la donna: «Tenente, lei non ha più motivo di rimanere qua. Ha fatto innegabilmente un lavoro sopra le aspettative, al Flight Center, contribuendo a portare l’istituto a livelli elevati assieme alla sua squadra, ma sappiamo benissimo entrambi che lei è sprecata qua con noi. Non si bruci la carriera per quanto accaduto in Accademia. Non è colpa sua e gli ufficiali assegnati alla Divisione Giudiziaria hanno fatto in modo che tutto venisse risolto nella maniera più giusta. Non butti via quest’opportunità per un qualcosa di cui lei non è colpevole ed è stata dimostrata pulita.»
Ferrari, appoggiata allo schienale della sedia e a braccia incrociate, aveva alzato un sopracciglio: «Immagino di non avere altra scelta, visto che presumo lei abbia dato il via libera per il trasferimento.» Jakto aveva scosso la testa: «L’ultima parola, comunque, l’avrebbe lei. Sì, io ho dato l’approvazione per il trasferimento, ma sta a lei decidere cosa vuole fare del suo futuro. Ripeto, non butti via la sua carriera per colpe che non ha.»
«Apprezzo l’opportunità, signore, ma ritengo di essere più utile qua…» Jakto l’aveva interrotta, con un sorriso ironico sul volto: «Mi creda, Tenente, lei sarà più utile lassù, a esplorare la Galassia. E a proteggere chi rimarrà indietro a permettervi di proteggerci.» Ferrari lo aveva guardato per un lungo momento, prima di stringersi nelle spalle e accettare il nuovo incarico, senza proferire una parola di più.

Ed ecco, quindi, che a poche ore dalla partenza dell’Europa alla volta della sua prima missione fuori dai cantieri navali di Utopia Planitia, Eva Ferrari aveva preso il runabout che l’avrebbe portata verso il suo futuro, scritto tra le stelle, così come sarebbe dovuto andare un paio di anni prima. E il Comandante Jakto era soddisfatto che questo fosse potuto accadere.

QUARTIER GENERALE DELLA FLOTTA STELLARE, UFFICIO DEL VICE AMMIRAGLIO LEYTON - TERRA

Il Vice Ammiraglio James Leyton, Capo della sezione Operazioni della Flotta Stellare, era un uomo sulla cinquantina, di alta statura, che dava l’impressione di essere molto più giovane di quanto in realtà non fosse. Durante la sua carriera, prima di ascendere alla posizione che ora ricopriva, era stato un elemento fondamentale in diversi scontri contro alcuni dei nemici più sanguinosi della Federazione, quali Romulani, Cardassiani, Tholiani e Borg.
Come Capitano della U.S.S. Okinawa, alla metà del secolo, aveva prestato servizio durante gli scontri intercorsi nella guerra contro gli Tzenkethi, lavorando gomito a gomito con l’allora Tenente Comandante Benjamin Sisko, che aveva reso suo Primo Ufficiale, e che in un secondo momento, nel 2369, aveva raccomandato per il posto di comandante di Deep Space 9.

Ora, dopo anni di onorato servizio sul campo, il suo dovere era quello di inviare altre navi, altri equipaggi, altri capitani in missione, coordinandoli assieme al proprio staff e agli ufficiali assegnati ai vari settori che punteggiavano i territori federali nei Quadranti Alfa e Beta.
Proprio in quel momento, seduto nel proprio ufficio al Quartier Generale della Flotta Stellare, era in contatto con il Capitano T’Vok e il Comandante R’Mau, della U.S.S. Europa, a poche ore dalla conclusione degli ultimi lavori e aggiornamenti a Utopia Planitia, il cantiere navale in orbita attorno a Marte.

«Capitano, i vostri ordini sono di dirigersi verso Deep Space 9, per poi sfruttare il tunnel bajoriano per andare nel Quadrante Gamma, dove rimarrete per 18 mesi a esplorare il settore, in maniera tale da permetterci di scoprire qualcosa in più sulle popolazioni che vi dimorano, visto le scarne informazioni di cui siamo in possesso. Ma,» aggiunse, prima che T’Vok o R’Mau potessero intervenire, «c’è bisogno che acquistiate più informazioni possibili anche sul Dominio. Se quello che Benjamin Sisko sostiene è veritiero, rischiamo seriamente di entrare in guerra con una potenza che potrebbe destabilizzarci, soprattutto considerando come i Cardassiani e i Romulani si stanno comportando da avvoltoi sui confini e l’instabilità con l’Impero Klingon.»

«La partenza è prevista per le 0600, Ammiraglio,» gli rispose T’Vok, andando a puntualizzare che «Prima di dirigerci verso Deep Space 9 e il Tempio Celeste, però, abbiamo un rendez-vous con la Archer, affinché gli ultimi membri mancanti dell’equipaggio possano unirsi a noi.»
«La Archer è stata dirottata verso le Badlands all’ultimo, Capitano. Si sta cercando in tutti i modi di capire come sia possibile che non una, ma ben due navi della Flotta Stellare siano svanite a così stretto giro di boa. Si ritiene che la Archer possa dare un plus valore fondamentale, nel cercare di reperire quanti più dati possibile. Farete un breve scalo a Deep Space 9, dove potrete recuperare il personale mancante, dopodiché verso il Quadrante Gamma senza ulteriori ritardi.»

DEEP SPACE 9 - SISTEMA BAJORIANO

«Capitano, siamo entrati in contatto visivo con Deep Space 9,» annunciò Eva Ferrari dalla sua postazione al timone, mentre manovrava l’Europa a massimo impulso per avvicinarsi alla stazione di estrazione mineraria cardassiana ora sotto il controllo congiunto della Federazione e di Bajor. Al suo fianco, il Guardiamarina Rebim - che sostituiva il Tenente Comandante Sevek, titolare del dipartimento, fino al suo arrivo a bordo - osservò: «Ci informano che siamo liberi di attraccare a uno dei piloni superiori.»

Ferrari riecheggiò le parole della bajoriana qualche istante più tardi: «Coordinate ricevute.»
Fu il Comandante R’Mau a intervenire, a quel punto, ordinando: «Tenente, riduca la velocità ai soli motori di manovra e ci faccia attraccare. Con attenzione.»
«Sì, signore. Velocità ridotta ai motori di manovra ed Europa in fase di attracco. L’operazione sarà completata nei prossimi cinque minuti.»

«Europa, buona fortuna nel Quadrante Gamma,» salutò Benjamin Sisko, ufficiale comandante della stazione, dallo schermo dell’imponente vascello di classe Sovereign. L’Europa aveva preso a bordo il personale mancante e alcune provviste dell’ultimo minuto, apprestandosi finalmente a intraprendere il suo viaggio inaugurale nel Quadrante Gamma, raggiungibile tramite il tunnel bajoriano, dagli abitanti del settore conosciuto come Tempio Celeste, uno dei pochi tunnel naturali a essere completamente stabile grazie alla presenza di alcuni alieni extradimensionali conosciuti come Profeti.

Dopo quasi tre anni dalla sua scoperta, diverse navi avevano attraversato il tunnel per iniziare a esplorare una zona della Via Lattea altrimenti difficilmente raggiungibile; l’Europa sarebbe stata la prima nave federale a trascorrervi più di qualche settimana, nonostante la Defiant, recentemente recuperata dalle mani del Maquis Thomas Riker, avesse già avuto modo di raccogliere dati e telemetrie di vario genere.

«Lunga vita e prosperità, Capitano,» fu la risposta dell’ufficiale comandante dell’Europa, prima che la comunicazione si interrompesse. Il Comandante R’Mau, dopo un ultimo sguardo al flusso di informazioni che scorreva sul mini-schermo annesso alla sua postazione, ordinò: «Tenente Ferrari, tracci la rotta e chieda il permesso di partire alla sala comando.»
Qualche secondo più tardi, Ferrari annunciò: «Rotta tracciata, permesso concesso.»
«Propulsori di manovra,» fu l’ordine successivo.
«Propulsori pronti.»
«Iniziare la sequenza di lancio.»
«Sequenza di lancio iniziata.»
«Attivare.» Con quell’ordine finale, pronunciato da T’Vok, l’Europa si diresse in tutta la sua maestosità verso il tunnel bajoriano, pronta a essere messa alla prova dalle incognite che si sarebbero susseguite di fronte a lei.

Qualche ora più tardi, concluso il turno, dopo aver fatto un breve giro ricognitivo per i corridoi dell’Europa e aver familiarizzato con alcuni colleghi al bar di prora durante la cena, Eva Ferrari si trovava, da sola, nella propria cabina, coricata sul letto a fissare il soffitto.
Per via della posizione che ricopriva, oltre che per il grado che deteneva, la donna poteva vantare un alloggio tutto suo, nonostante fosse di dimensioni decisamente inferiori rispetto a quelle degli alloggi degli ufficiali superiori, appartenenti allo staff di comando.

Per un attimo, ripensò a quanto fosse accaduto negli ultimi anni. Era entrata all’Accademia della Flotta Stellare con tutte le buone speranze tipiche dei giovani, desiderosa di mettersi alla prova e di dimostrarsi all’altezza delle difficoltà che avrebbe trovato di fronte a sé, prima come Cadetto e, in un secondo momento, come Ufficiale. Quello che non si aspettava, invece, era di trovare l’amore, nella figura di Theo Madalore, assistente del Professor Gregorio Bardoni - titolare del corso di Tecniche Avanzate di Volo Aerospaziale - e precedentemente un collaudatore di prototipi.

Era stato proprio lui a indirizzarla nel migliorare ulteriormente le proprie doti da pilota e a farle prendere crediti extra presso una scuola specializzata, dove poi Ferrari avrebbe ottenuto il brevetto come pilota di livello 5. La sua crescente abilità (che l’aveva portata a essere, in breve tempo, migliore dello stesso Madalore) aveva però creato tensione tra i due, al punto che l’uomo aveva cercato, quasi riuscendoci, di screditarla, creando prove false che la accusassero di aver danneggiato un veicolo sperimentale, mettendo a rischio la vita di un'intera squadra.

Quello era il motivo per cui, diplomatasi a pieni voti come valedictorian del suo anno, la donna aveva preferito non imbarcarsi immediatamente, nonostante alcune proposte davvero irrinunciabili: era ancora in corso il processo che avrebbe messo, una volta per tutte, in luce le azioni di Madalore, il cui padre, che in quegli anni deteneva ancora il grado di Ammiraglio, aveva cercato in tutti i modi di insabbiare. Ferrari non voleva che il processo si svolgesse mentre lei era distante, e non voleva che l’esito dello stesso, nel caso fosse stato negativo proprio viste le ingerenze dell’Ammiraglio, le impedisse di portare avanti un incarico su una nave stellare. Cosa che avrebbe macchiato ancor di più il suo curriculum.
Dando ordine al computer di abbassare le luci della stanza, Ferrari si disse che, alla fine, tutto si era concluso nel migliore dei modi. E la sua nuova vita poteva finalmente iniziare.

Commenti

  1. Letto tutto d'un fiato!! Mi piace molto la tua tecnica narrativa!!

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  2. La tua scrittura così semplice e fluida si fa leggere tutto d'un fiato, il lettore diventa avido di sapere quello che succederà successivamente

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  3. Da fan di Star Trek resto basito. Ma è incredibile, la lettura ti catapulta nello spazio interstellare, ti fa trovare faccia a faccia con i personaggi. Un forst contact rivissuto con la passione di chi pare averlo vissuto davvero!

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  4. Sono fan di Star Trek non accanita, ma adoro la serie e prima o poi prenderò qualche testo per approfondire alcune cose, il tuo modo di narrare mi piace, personaggi e situazioni che li coinvolgono sono perfettamente in linea con l’atmosfera che ci si aspetta, apprezzo sempre tanto un buon racconto capace di coinvolgere anche chi non bazzica i porti interstellari. Brava.

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  5. Da fan di Star Trek ho avuto l'impressione di essere su Deep space nine e di vivere le storie raccontate.
    Maria Domenica

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  6. Inizio con io dire che adoro leggere questi testi visto che sono amante di Star Trek. Ma devo farti una domanda: tu guardi The Orville? Perchè io lo trovo davvero fatto bene e dopo una prima stagione più comica ora è diventato il degno erede di Star Trek!

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  7. Tanti complimenti per la passione e la fantasia.
    Non sono una conoscitrice così strong di Star Trek, però questi tuoi 'spin off' sono molto belli!

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  8. Da persona che ha giusto una infarinatura dettata da visioni delle varie serie sparse nell'infanzia, è stato tutto estremamente chiaro! Fin dalla prima riga mi sono immersa completamente nella storia e mi sono orientata alla perfezione nonostante, appunto, certe cose non me le ricordi del tutto. Hai una grandissima capacità attraverso descrizioni e brevi spiegazioni di dare i giusti dati e le giuste informazioni. È stato bello incontrare Eva, scoprire le prime cose sulla sua persona, e non vedo l'ora di continuare il filo narrativo per scoprire di più su di lei e sulla storia che hai deciso di raccontarci. Inoltre lo stile di scrittura è davvero scorrevole e così piacevole che sono arrivata in fondo quasi senza accorgermene. Davvero un bellissimo lavoro, ti faccio i miei complimenti ❤️
    Alla prossima recensione!

    Sonia

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